42017 (con un click è possibile scaricare gratuitamente il file del fascicolo per i 70 anni che contiene i saggi dei collaboratori e gli indici degli ultimi 20 anni).
La “Rivista Abruzzese”, con il n. 4 del 2017, compie settanta anni di vita.
Per l’occasione, il quarto fascicolo del 2017 comprende l’indice degli articoli pubblicati negli ultimi venti anni (quello dei primi cinquanta anni è stato pubblicato nel fascicolo monografico del 1997). Sono intervenuti molti collaboratori a testimoniare la loro presenza nella Rivista, ritenuta di rilievo non soltanto per la storia e le tradizioni culturali e artistiche dell’Abruzzo, ma anche per i suoi interventi nella cultura nazionale. Il fascicolo monografico si apre con una vignetta di Lucio Trojano, a cui seguono interventi di Umberto Russo, Adelia Mancini, Aristide Vecchioni, Mario Cimini, Eide Spedicato-Iengo, Giuseppe Mauro, Adriano Ghisetti Giavarina, Giovanni Damiani, Enrico Graziani, Ireneo Bellotta, Lia Giancristofaro, Giacomo D’Angelo, Mario Santucci, Gianfranco Natale, Anna Cutilli Di Silvestre, Nicola De Sanctis, Paolo Muzi e Rocco Camiscia. Gli interventi dei collaboratori, in occasione di questo settantesimo anniversario, hanno voluto mettere in evidenza l’importanza della Rivista che, «con pieno decoro, ha ripreso e continuato la tradizione dei periodici di cultura che la regione espresse tra Ottocento e Novecento, una tradizione che non andava interrotta o mistificata perché costituiva un segno positivo della capacità di produrre autonomamente cultura» (Umberto Russo). Ma ripercorriamo in breve la storia della “Rivista Abruzzese”.
Quando nel 1960 Francesco Verlengia, che aveva fondato la Rivista nel 1948, nella Biblioteca provinciale “De Meis” di Chieti, me ne affidò la redazione, ero un giovanissimo collaboratore. La Rivista era in ritardo perché il Direttore era molto anziano e malato. Nel 1964 mi chiese di assumerne la proprietà e la direzione, con una affettuosa raccomandazione: conservarne la virtù di fondo, la coerenza ad una concezione della cultura come impegno civile ed etico affrontando temi, non solo regionali, di attualità letteraria, di storia, di tutela ambientale, di tradizioni folkloriche, di varia umanità. Verlengia si spense nel 1967. Ebbi, nei primi anni, la collaborazione di intellettuali e cari amici, che ricordo con gratitudine: Corrado Marciani, Beniamino Rosati, che faceva da tramite con l’ambiente crociano di Napoli e con Elena ed Alda Croce per la pubblicazione di inediti del padre, Bruno Mosca, Antonino Di Giorgio, Giovanni Nativio, Alfonso di Nola, Alfredo Sabella e, scorrendo gli oltre 250 fascicoli, compaiono argomenti trattati non solo da studiosi regionali, in un eclettismo aperto a tutte le manifestazioni dello spirito, che voleva costituire il riflesso della vita culturale nella sua totalità, nei suoi problemi e nella difesa del patrimonio storico, artistico e ambientale. Come non ricordare gli interventi in difesa del Parco Nazionale D’Abruzzo, dell’abazia di S. Giovanni in Venere, dei monumenti e del patrimonio storico, artistico e folklorico, l’opposizione all’industria petrolchimica della Sangro Chimica, ecc.! Non sempre si è evitato che qualche scritto scivolasse nella “esibita erudizione”, ma la base della Rivista era stimolo verso scelte di argomenti etico-politici: l’attuale società del profitto, che tende a cancellare le nostre radici culturali, ci piace poco, con i suoi bisogni omologati dal linguaggio televisivo e dei mass media, e la Rivista tenta di riproporre i valori di una cultura di cui non c’è solo la memoria erudita, ma il contributo verso una società di crescita dei valori umani. Si spiega perché essa privilegi tematiche di identità distrutte, di riscoperta di valori locali e modelli culturali lontani dalla omologazione contemporanea, testimonianze di valori di comunità, di umanità, di solidarietà. Anche nel suo aspetto grafico conserva uno stile parsimonioso, una impaginazione semplice, senza pubblicità commerciale, l’orgoglio di non essere iscritta all’anagrafe delle sovvenzioni finanziarie statali, regionali e comunali previste per l’editoria, ma vivendo solo delle quote dei suoi abbonati, che non sempre coprono le spese (di stampa, postali, Camera di Commercio, telefono, partita iva, perfino, in migliaia di euro, tassazioni INPS, pur non avendo dipendenti, in cumulo con la pensione di insegnante del proprietario della testata, ecc.). La sua sede è lo studio del redattore, il magazzino… il suo garage!
Tuttavia la “Rivista Abruzzese” non mollerà, fino a quando ci saranno gli abbonati, non sarà palestra di nostalgici incantesimi di un passato di cui non rimpiangiamo le strutture economiche, ma punto di incontro di quanti credono che la cultura svolga la sua azione politica nel tempo, ben diversa da quella a cui bassi interessi economici hanno abituato anche l’editoria culturale, al servizio di partiti, di potentati politici ed economici. Questo il senso della Rivista nel panorama editoriale nazionale e regionale e, al di là dello scoramento per la sopportazione di qualche fastidio economico, essa continuerà, fino a quando lo vorranno gli abbonati, nella sua azione di resistenza etica. (Emiliano Giancristofaro)