di Emilio Di Paolo prefazione di Emiliano Giancristofaro 2009,
foto a colori, pp. 330, €30,00
Abstract
Nel libro si sentono le voci di una esistenza povera, viene recuperato un mondo rurale estinto, perché attraverso le rappresentazioni dell’autore si possa avvertire l’incontro-scontro con quello che era il mestiere di vivere fino a trent’anni fa nelle aride campagne del Vastese. Un processo di cancellazione ancora in atto che ha scardinato, insieme ai mezzi di sopravvivenza, il codice di valori di un “piccolo mondo antico” che pure aveva quei punti fermi che oggi sembrano smarriti nel mondo della grande insecuritas globale. E, nelle pagine del libro, si percepiscono quegli ancoraggi a cui, in una realtà caratterizzata da grande miseria materiale, le comunità si aggrappavano per rispondere alle incertezze del vivere e di cui si avverte la necessità anche fra le pieghe della attuale società “liquida”, che sembra ormai camminare con la testa per terra e i piedi per aria. (E. G.) Siamo sicuri di non dovere un giorno pentirci dell’abbandono progressivo e inarrestabile dell’agricoltura? A meno che non si abbia intenzione di pranzare con le pillole! Chissà se un giorno accadrà qualcosa del genere. Allora, bisognerà fare qualche passo indietro, ritornare alle origini (certo non con i sistemi e gli strumenti del tempo che fu), se vogliamo sederci a tavola e gustare un piatto di buona pastasciutta. E allora si conceda, dal momento che l’intero lavoro è stato consacrato alla bellezza del proverbio paesano, di citare l’adagio “hé fenéuta la cuccàgna, chi zàppa màgna”, ossia: è finita la cuccagna, chi zappa, mangia. (E. D. P.)
di Lia Giancristofaro, Enzo Apollonio, Emiliano Giancristofaro
a cura di Lia Giancristofaro
2008, pp. 91, foto a colori, 2008, € 25.00
Abstract
Solo l’eremita s. Antonio abate ha avuto pietà del porco. Abbiamo pietà dei gatti, dei cani, degli uccelli, ma intorno al porco, ucciso con una violenta coltellata al cuore, facciamo festa. Eppure esso è animale dolcissimo che ci piace vedere ai piedi del Santo suo signore, o ruzzare intorno alla contadina che lo alleva, che lo chiama zirì o con l’antico vezzeggiativo nino, che in lingua spagnola vuol dire bello, mentre si solleva sulle corte zampe: è una creatura di cui si apprezzano solo porchetta, ventricine e salsicce, e che forse ha un’anima, specchio della falsità con cui l’uomo circonda le buone maniere e la “civiltà”. Era ora che gli si rendesse gratitudine e onore, e che un piccolo comune abruzzese, Carpineto Sinello, realizzasse un Museo dedicato all’eccellenza del maiale.