La letteratura folklorica abruzzese dell’Ottocento ha avuto due protagonisti: Gennaro Finamore e Antonio De Nino che, con i loro studi e le loro ricerche, hanno coperto quasi tutto il territorio della loro Regione, compreso quello della Sabina che oggi rientra amministrativamente nella Regione Lazio. Il loro lavoro di esplorazione ci permette oggi di conoscere gran parte della cultura popolare abruzzese.
Questo patrimonio di documentazione abruzzese è stato arricchito da ulteriori studiosi dalla fine dell’Ottocento al Novecento. Cosicché, per uno studioso come Emiliano Giancristofaro sarebbe stato difficile rintracciare territori ancora non investigati. Ma, sa se tutto (o quasi tutto) era stato scoperto e reso pubblico, restava da fare il lavoro forse più importante, quello di togliere i risultati di quelle ampie ricerche otto-novecentesche dall’ambito del pittoresco e liberarli da quel rivestimento di spiegazioni e interpretazioni dettate da un positivismo talora pesantemente meccanicistico. (…) C’era, dunque, da demolire quell’idea, molto radicata nell’opinione pubblica, di una regione primitiva e che è racchiusa e compendiata nella famigerata espressione “Abruzzo forte e gentile”.
Tutto quel materiale, raccolto e interpretato alla luce delle teorie ottocentesche, applicate spesso in maniera impropria, doveva essere rivisitato per ridargli, con una corretta analisi storica, la dignità di cultura. A me sembra che la lunga attività nel campo della demologia condotta da Emiliano Giancristofaro abbia assolto proprio questa funzione di disincrostare il folklore abruzzese da quella patina di positivismo e soprattutto di liberarla da quell’atmosfera di cui il dannunzianesimo l’aveva circondata.
La produzione scientifica di Emiliano Giancristofaro si è protratta per oltre un cinquantennio: essa è molto vasta e studia, se non la totalità, una gran parte dei fenomeni folklorici di tutto l’Abruzzo. Si tratta di testi in cui sono confluiti sia gli apporti originali frutto delle ricerche personali svolte sul terreno, sia parte del materiale raccolto dai maggiori studiosi di folklore abruzzese, come il Finamore e il De Nino, sia i lavori di altri ricercatori contemporanei, meno famosi ma non meno importanti. Il suo curriculum, insieme con la sua vasta bibliografia, è testimone della varietà dei temi trattati e dell’assidua e lunga attività di ricercatore ed esploratore del mondo abruzzese. Discutere tutte le pubblicazioni sarebbe troppo lungo, qui ci si limita ad esaminare quei lavori che lo stesso Autore ha ritenuto più importanti e che ha riunito in volumi omogenei. (…)
Per spiegare certi fenomeni del folklore locale, sconcertanti per chi appartiene ad un mondo culturalmente lontano, Giancristofaro si rifà, oltre che al Finamore, a Lévi-Strauss e a De Martino, del quale riporta alcuni passi: «Si tratta di testimonianze di stagnazioni, di arresti, di insuccessi dell’espansione del processo culturale nelle sue forme più consapevoli, di guisa che c’è tanto poco da compiacersi di un folklore religioso “ricco” quanto di una persona che va in giro con un vestito a brandelli e pieno di toppe. Il panorama religioso della società meridionale è appunto di questo tipo: vi si ritrova di tutto un poco, in una caotica mescolanza che abbraccia, al di là del cattolicesimo ufficiale, le varie sfumature del cattolicesimo popolare, i diversi compromessi pagano-cattolici e, infine, i relitti più o meno logori della civiltà religiosa del mondo antico». Su una vasta campagna di inchieste si fonda la ricca documentazione sul fenomeno dell’epilessia, la cui diffusione secondo Giancristofaro si deve alla credenza, alimentata a fine di lucro, che si tratti non di malattia ma di opera del demonio, per la quale diventa obbligatorio il ricorso, dietro compenso, dell’esorcista. Per lui, invece, il fenomeno ha a che fare con una «forma di religiosità e di magia come testimonianza delle sopravvivenze di un passato miserabile». Ancora qui si sente l’influenza di De Martino, perché il fenomeno dell’epilessia appare simile a quello del tarantolismo. (…) Sono parole su cui si può anche concordare, ma, dette con mentalità militante, esprimono concetti propri di persona politica piuttosto che di un demologo; esse, tuttavia, hanno il pregio di non relegare il folklore nell’ambito del pittoresco o di ripensarlo nostalgicamente. (…)
Tra le superstizioni più diffuse, il “malocchio” è quello che caratterizza tutta la regione, come mostrano la molteplicità delle testimonianze relative e la miriade delle formule di scongiuro raccolte in diverse località. Le notizie collezionate da Giancristofaro evidenziano come molte credenze superstiziose siano profondamente radicate nella cultura popolare abruzzese e persistenti ancora in epoca odierna: a tal proposito è riportata la vicenda, paradossale, di una signora che da una località abruzzese riesce a togliere il malocchio (in questo caso concretizzatosi in un mal di testa) ad una persona che si trova a Roma, aiutandosi con la tecnologia moderna. (…) La trattazione degli argomenti è sempre semplice e lineare, ma nello stesso tempo dotta, perché i riferimenti culturali di Giancristofano spaziano nel tempo e nello spazio, andando dalla civiltà greco-romana, al pensiero dei libertini e degli illuministi, fino alle teorie scientifiche del mondo moderno; e non dimenticando mai la sua formazione di letterato. L’indagine vasta e approfondita e il continuo ricorrere alla storia culturale senza dubbio riescono a raggiungere quegli scopi che l’Autore si era prefisso, cioé togliere alle “superstizioni” quella patina di pittoresco che spesso riveste queste manifestazioni, far dimenticare l’idea dell’Abruzzo “forte e gentile” e soprattutto restituire al folklore della regione la sua qualità di cultura popolare.
L’opera di Giancristofaro, oltre ad una visione globale della cultura tradizionale abruzzese, mette in mostra la padronanza della materia che è discussa con una scrittura agile, corroborata, ma per nulla appesantita, da una profonda cultura classica, cui si unisce una notevole varietà di letture storiche, letterarie, sociologiche e antropologiche. E soprattutto è pregevole il fatto che il folklore non è visto come un fenomeno chiuso in sé, immutabile nel tempo, in quanto c’è sempre un confronto tra il passato ed il presente, tra le tradizioni da una parte, e la cultura di massa della modernità, dall’altra. Nei confronti della cultura popolare tradizionale si può dire che in Giancristofaro non c’è nostalgia; a volte, semmai, c’è un po’ di rammarico, non tanto per la perdita del mondo folklorico, quanto per la scomparsa del senso di solidarietà e di rispetto umano che lo caratterizzava.
Mariano Fresta (articolo pubblicato nei fascicoli 1 e 2 del 2022)