lezioni dall’obitorio copertina Alfonso M. di Nola, Lezioni dall’obitorio. Saggi di antropologia medica ed etnopsichiatria, a cura di Ireneo Bellotta e Giovanni Pizza, Centro Studi Tradizioni Popolari “Alfonso M. di Nola, Cocullo, Edizioni di Rivista Abruzzese, Lanciano 2017. Il titolo del volume è «tetro, ma adatto a pensare» (Di Nola, 1988): esso innanzitutto sottolinea la necessità di superare quel riduzionismo anatomo-patologico che pervade in modo molecolare la visione biomedica e psichiatrica della persona; inoltre, evoca una visione transculturale della morte, non riducibile ad evento puntiforme, ma concepibile come momento di passaggio, come elaborazione culturale di amore per la vita (Pizza, p. 23), come sprone all’impegno per i vivi. Questo titolo, nel 1988, venne scelto dallo stesso Di Nola allorquando, celebre antropologo e storico delle religioni, intendeva sviluppare e pubblicare i suoi innovativi materiali del corso di Etnopsichiatria tenuto al Perfezionamento in Psichiatria del Policlinico di Napoli. Quell’opera non venne mai alla luce. Nel ventennale della scomparsa di Di Nola, avvenuta nel 1997, i due allievi si sono attivati per testimoniare lo straordinario percorso di antropologia medica ed etnopsichiatria di cui, in piena autonomia scientifica, il compianto maestro aveva posto le basi, elevandosi a co-fondatore di questa disciplina in Italia insieme a Tullio Seppilli. Nel 1998, mentre il campo specifico (e fondamentale) dell’antropologia medica si andava finalmente delineando anche in seno ai corsi di laurea in medicina e scienze infermieristiche, Ireneo Bellotta e Giovanni Pizza cominciarono a repertoriare la vasta bibliografia dinoliana di pertinenza etnopsichiatrica e antropologico-medica, schedando ben 173 titoli scientifici e centinaia di interviste, elzeviri e interventi di critica culturale sui rapporti tra biomedicina, religiosità popolare, Chiesa e Stato nell’Italia contemporanea. Nel presente volume, i due curatori hanno raccolto e presentato i 18 saggi che, pubblicati dal 1974 al 1994 (un articolo è uscito postumo, nel 2004) su testate e volumi di rilievo nazionale, meglio rappresentano la linea del corso di Etnopsichiatria tenuto a Napoli. Gli scritti sono sicuramente in grado di riattivare il dibattito scientifico su questa complessa figura di studioso. L’approccio dinoliano, infatti, disarticola sia il concetto di medicina occidentale, relativizzato come sistema culturale, sia il concetto, tanto caro ai demologi, di medicina popolare, ridefinita come «medicina tradizionale delle classi subalterne» (nel saggio La medicina popolare, questioni di metodo). Infatti, il carattere catalogante della documentazione raccolta dai demologi tra Ottocento e Novecento (sovente medici, si pensi a Finamore e a Pitrè) rispecchia la forma ordinativa delle malattie elaborata dalla medicina ufficiale, secondo quella dicotomia cartesiana e galileiana che, dividendo i mali riguardanti il corpo dai mali riguardanti la mente, e appoggiando il successo della cura alla sua verificabilità empirica, si oppone ad una visione integrata e bio-culturale dell’essere umano, emergente proprio dai resoconti etnografici, una volta che essi vengano liberati dalla classificazione deterministica ed essenzializzante. Per Di Nola, dunque, i saperi e le pratiche della cosiddetta medicina popolare contengono una divergenza cognitiva ed epistemologica rispetto alla cosiddetta medicina ufficiale, dal cui giudizio bisogna prescindere se si vogliono individuare certe particolari e irriducibili forme di organizzazione della conoscenza intorno a corpo, salute e malattia. Limitarsi alla fenomenologia fisiologica e biologica, escludere l’efficacia simbolica del rituale, ignorare la dimensione religiosa del credere e ogni altro prodotto culturale che sia stato elaborato storicamente per trascendere la natura e le conflittualità di un contesto sociale, significa ridurre lo spessore dell’approccio medico, diminuire l’attenzione verso le forme di vita diverse, ma interne al Paese. In conclusione, attraverso i saggi qui presi in esame, Di Nola ha riletto in modo del tutto inusuale, per l’epoca in cui scriveva e pubblicava, certi fenomeni rituali circoscritti e già segnalati nell’ambito della cosiddetta medicina popolare italiana (dalla pesatura all’esorcismo, dallo scongiuro al pellegrinaggio, dal lutto al digiuno), elevandoli a strumento di critica politica della modernità e delle sue istituzioni, secondo quella prospettiva scientifica che, inaugurata da Ernesto De Martino ne La fine del mondo (1977, postumo), interpreta il comportamento magico-religioso come elemento di connessione tra apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche. Come sottolineano i curatori, l’opera dinoliana necessiterà di ulteriori attenzioni e riletture (p. 22), sia per chiarire la portata del contributo, sia per evidenziare le dinamiche dei quadri concettuali che sono stati definiti. Trent’anni fa lo studioso, nelle sue indimenticabili e affollate lezioni a Napoli, interagiva con la potenza negativa dell’obitorio per attivare, in modo squisitamente bio-culturale, la riflessione critica degli allievi, aprendo loro nuovi orizzonti. Oggi, gli strumenti politici dell’antropologia pubblica, individuati e sperimentati grazie a quella straordinaria apertura di orizzonti, riempiono di significato l’assenza dello studioso e aiutano quanti lo hanno conosciuto e apprezzato a interagire con la sua mancanza, trasformandola in un impegno nella conoscenza e nella protezione dell’alterità culturale. (Lia Giancristofaro)