Corrado Marciani, la passione per la storia patria
di Lia Giancristofaro
Corrado Marciani nacque a Lanciano il 29 aprile del 1899 dal farmacista Leopoldo. Seguì studi classici presso il Ginnasio-Liceo di Lanciano, dove Gennaro Finamore era stato docente e preside, e dove Cesare De Titta dal 1896 copriva la cattedra di italiano e latino. Nella prima Guerra Mondiale fu uno dei “ragazzi del ’99″: chiamato alle armi nel 1917, quando era ancora studente, rimase in servizio fino al 1920. Solo fortunosamente si salvò dalla disastrosa ritirata dopo Caporetto. Laureatosi in Medicina e Chirurgia, si specializzò in Otorinolaringoiatria. Notevoli furono i successi da lui conseguiti nell’esercizio della professione, ottenuti, come tenne sempre a ricordare, tramite meriti autentici e non sollecitando raccomandazioni o favori. Tuttavia, già trapelava il suo interesse per la vita del passato e per i segni di civiltà lasciati dalle generazioni precedenti, con riferimenti ai maggiori volumi di storiografia dell’epoca. Particolare attenzione mostrava per gli “irregolari” e gli inclassificabili della cultura: Oriani, Prezzolini, Bergson, Gregorovius, i diaristi napoletani e le splendide collezioni dei Carabba, Campana e Montale, Jedin.
Era fidanzato con Giulia Marrone: conosciuta a Lanciano, Corrado era stato colpito dalla sua raffinatezza e operosità. Non a caso, Giulia era sorella di Gaetano Marrone, autodidatta, allievo dell’umanista Cesare De Titta e revisore letterario della Editrice Rocco Carabba di Lanciano nel periodo del suo massimo splendore. La volontà li unì in tutte le differenze: egli, nonostante il suo professato laicismo di matrice scientifica, ebbe sempre un profondo rispetto per la granitica fede religiosa che animava lei. Giulia, dal canto suo, pur non avendo una elevata formazione culturale, rispettò e sostenne l’interesse che lui mostrava verso la storiografia, iniziato quando, da Parma, lo studioso cominciò a volersi recare a Venezia, nella «città fantastica» che aveva ispirato Wagner e Tiepolo, al fine di visitare l’immenso archivio della Marciana, la grande biblioteca di cui, curiosamente, egli portava il nome, e del cui direttore, Giorgio Ferrari, divenne in seguito caro amico. Rientrati a Lanciano, nel quartiere Borgo, si stabilirono nella casa paterna di via Romanelli, sulla cui facciata l’insegna in ferro «occhi-naso-gola» a lungo ha segnalato l’ambulatorio medico. Rigorosamente antifascista, in tempi di facili e compromettenti adesioni politiche aprì le porte della sua casa a Tristano Codignola e alla sua famiglia (confinato politico a Lanciano, gli si era presentato a nome di Francesco Flora, suo illustre amico perseguitato dal regime). Amico del conterraneo Beniamino Rosati, ebbe rapporti con lui i maggiori nomi della cultura napoletana dell’epoca (Croce, Parente, Ricciardi, Doria, Pane, Franchini, Campagna, ed Ettore Ruggieri, direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Napoli). Nel contempo, il desiderio di ricercare la verità ostinandosi a far luce sulle memorie passate, dando corpo all’umanità delle borgate più sconosciute, facendo la storia di quanti sono esclusi dalle opere siglate dai vertici del potere, lo conduceva a studiare fatti e fenomeni fino ad allora ignorati: come «un mattonaio», usava dire, ordinò i dati storici di cui andava conoscendo tramite gli archivi, con l’obiettivo di ricostruirne il panorama nell’ambito europeo, dunque trascendendone gli angusti confini regionali e nazionali, secondo la metodologia di Fernand Braudel. Tale lavoro veniva portato avanti sospendendo saltuariamente l’attività ambulatoriale: in questi casi Giulia, infermiera e assistente nelle visite e nella piccola chirurgia, diventava la sua fida collaboratrice nella ricerca e trascrizione dei documenti. Nel 1947, trovandosi a Roma, eseguì personalmente una copia dei Capitoli della città di Lanciano conservati nell’Archivio di Stato. E a partire dall’anno seguente produsse, per la “Rivista Abruzzese”, il “Bollettino DASP” e l’editore Gino Carabba, la sua lunga serie di saggi e monografie in cui la storia locale veniva affrontata con spirito rigoroso. D’altronde, la storia era scienza pura, per Marciani. Negli archivi notarili di Lanciano, esaminò i protocolli registrati dal 1511 al 1731, collegandoli ai corrispondenti di Venezia e Ragusa (oggi Dubrovnik) ivi reperiti, contestualizzandoli nei vari territori della storia economica e sociale dell’area adriatica. Fino a pochi anni prima della morte, era solito trascorrere, sempre accompagnato dalla moglie, il periodo estivo a Ragusa, Napoli e Venezia, per le sue ricerche archivistiche tese alla costruzione di una storia di Lanciano e della regione abruzzese. Raccolse il risultato di tanto lavoro in 11 volumi manoscritti, di circa 500 fogli ciascuno, detti Regesti Marciani, attualmente in corso di pubblicazione da parte della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, di cui fu membro del Consiglio Direttivo. L’opera mise in rilievo una realtà sconosciuta quanto importante, e cioè che la storia e la cultura abruzzese, specie nella parte rivierasca, ebbero più elementi di contatto con la civiltà veneta e dalmata che non con quella del Regno di Napoli. Tanto i monti dividevano gli Abruzzi dalla loro capitale politica, quanto il mare li univa, economicamente e culturalmente, a Venezia, Ragusa e Spalato. Della importanza di tale canale è testimonianza la nomina di consoli di Ragusa a Termoli, Ortona e Lanciano, le cui ricche fiere contribuirono a motivare Venezia nella difesa del porto di San Vito dai predoni turchi. D’altronde, di sole 100 miglia è la distanza dall’Abruzzo da Spalato e Sebenico; ancor più vicine sono le isole; ma nessuno prima di lui aveva mai intrapreso la missione di inquadrare l’Abruzzo, dalla visione pastorale mitologica a cui era stato inchiodato da storici e letterati, ad una più equilibrata immagine mista di tradizioni agricole, montanare, commerciali e costiere. I suoi contributi più originali, in questo senso, furono quelli relativi ai manufatti navali e al commercio dei libri. Relativamente a quest’ultima problematica, Marciani dimostrò come l’economia di Lanciano fosse andata di pari passo con la sua prosperità culturale, condensabile nell’arte tipografica e nel commercio librario, che così come erano fiorenti nel ‘500, tornarono in auge a cavallo tra Ottocento e Novecento coi Carabba. Per questo come per altri comuni abruzzesi, dunque, i momenti di maggiore sviluppo coincidevano inequivocabilmente con la maggiore libertà politica e il rinnovamento civile.
Al fine di promuovere la vita civile della sua città, nel secondo Dopoguerra si dedicò anche alla vita amministrativa e fu eletto Consigliere comunale indipendente. Assieme a Beniamino Rosati, Emiliano Giancristofaro ed Antonino Di Giorgio, costituì la sezione di Lanciano di Italia Nostra, la prima in Abruzzo, e frequenti e coraggiosi furono i suoi interventi in difesa dei beni culturali e ambientali; ricordiamo l’opposizione alla lottizzazione edilizia del promontorio su cui sorge l’antica abbazia di S. Giovanni in Venere e la dura protesta contro l’installazione di una raffineria di petrolio a Fossacesia (la SangroChimica). Una delle sue gioie maggiori era accendere, in chiunque ma soprattutto nei giovani, la passione per la ricerca storica, non al fine di una campanilistica e sterile idolatria del passato, ma come utile scoperta di vecchie e nuove forme di libertà sociale. Schiettamente liberale e democratico, leggeva i periodici più innovativi dell’epoca (“La Nuova Europa” di De Ruggero e Salvatorelli; “Realtà politica” di Riccardo Bauer; “Il ponte” di Calamandrei e “Il Mondo” di Panunzio), non lesinandoli agli amici, al fine di stimolarne l’apertura mentale. Fu guida ed educatore per un’intera generazione di studiosi, cui indicò la strada rigore morale e dell’azione concreta contro i dispotismi e gli intrighi di parte, dannosi al bene pubblico. Si attivò anche per il potenziamento di una sede definitiva e dignitosa della biblioteca comunale “R. Liberatore”, dove alla sua morte, per sua espressa volontà testamentaria, dalla moglie fu donata tutta la sua preziosa biblioteca completa di arredi settecenteschi di stile veneziano, costituendo il “Fondo Marciani”, il quale fu inaugurato con la nuova sede di Palazzo De Crecchio nel 1981, per poi passare, nel 2006, nella definitiva sede di Villa Marciani (lo stabile era stato proprietà di Armando Marciani, che vi aveva costituito un cenacolo culturale). Molti e importanti, in quegli anni, furono i riconoscimenti culturali: fu Socio della Società Napoletana di Storia Patria, Consigliere dell’Unione Nazionale Amici degli Archivi, Membro della Heraldry Society, Ispettore onorario delle Biblioteche d’Abruzzo. Il 20 dicembre 1967, inoltre, la Banca Popolare di Lanciano gli attribuì la targa d’oro “La Squilla”, quale «infaticabile ricercatore di memorie patrie, storiografo insigne, esempio d’alto civismo, valore professionale, integrità morale». Tra gli ultimi lavori, l’analisi e la registrazione in volume delle Deliberazioni decurionali del Comune di Lanciano dal 1400 al 1800. In altri due volumi raccolse le notizie tratte dagli registri parrocchiali di Lanciano, e riordinò i 14 volumi manoscritti dello storico lancianese Uomobuono Bocache, che fu il cronista dei moti del 1799 in Abruzzo. Nei primi giorni del gennaio 1972 morì Gaetano Marrone. Nello stesso anno Marciani si ammalò, ma continuò a lavorare fino a pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 22 agosto 1972. L’ultima sua ricerca riguardava la esegesi di un documento relativo al castello di Crecchio, i cui foglietti manoscritti furono pubblicati sulla “Rivista Abruzzese”, a cui collaborò per oltre 20 anni, con contributi che, assieme a quelli scritti su altre prestigiose riviste nazionali, furono riordinati e raccolti nei due volumi di Scritti di storia, curati da Emiliano Giancristofaro, editi nel 1974 dalla rinata Editrice Rocco Carabba.
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Bibliografia
AA. VV., Corrado Marciani. Studi, documenti, testimonianze, a cura di Emiliano GIANCRISTOFARO e Raffaele MARCIANI, Comune di Lanciano, 1984.